mercoledì 25 luglio 2012

"Il filo interrotto. Le difficili relazioni fra il Vaticano e la stampa internazionale". Stralci di uno degli articoli contenuti nel numero in uscita della rivista «La Civiltà Cattolica» (Salvini)



Il filo interrotto. "Le difficili relazioni fra il Vaticano e la stampa internazionale", a cura di Giovanni Maria Vian, Mondadori, 2012

Sulla «Civiltà Cattolica» l'incontro e il libro dedicati dal nostro giornale al rapporto tra il Vaticano e la stampa internazionale



Il filo e la clava


Pubblichiamo alcuni stralci di uno degli articoli contenuti nel numero in uscita della rivista «La Civiltà Cattolica».


di Gianpaolo Salvini


Della religione, più specificamente della Chiesa cattolica, e ancora più specificamente del Vaticano, si parla molto spesso sulla stampa in Italia, meno in altre nazioni, per esempio nel nord Europa, e altrove quasi per nulla. Frequentemente, in ogni caso, lo si fa in modo non corretto. 
L'affermazione potrebbe essere ripetuta anche per altre informazioni: politiche, economiche, sportive. Non è quindi soltanto la Chiesa a risentire di questo fatto.
Il dibattito in proposito accompagnerà sempre il giornalismo, né esiste una soluzione precisa. I giornalisti possono essere richiamati alla correttezza, indispensabile nel loro lavoro, oggi così importante: coloro che sono in grado di fornire notizie attendibili devono fornirle tempestivamente e in modo il più possibile completo e così via. Ma questo è un settore così dinamico, nel quale si intrecciano interessi di ogni tipo, oltre alle idee e alla visione culturale propria del giornalista, da richiedere una continua attenzione e revisione, in modo da rendere adeguato un insostituibile servizio all'opinione pubblica, che i media informano e influenzano certamente in modo determinante, benché non siano onnipotenti.
Per contribuire a fare maggiore chiarezza e individuare piste per una migliore collaborazione, almeno per quanto riguarda il Vaticano e la Chiesa, «L'Osservatore Romano», in occasione del suo centocinquantesimo anno di vita, ha organizzato in Vaticano, il 10 novembre 2011, un incontro tra esponenti vaticani, storici e professionisti della comunicazione, cioè giornalisti, nonché altre figure significative, per discutere il problema, almeno per quanto riguarda il rapporto, non sempre felice, tra Vaticano e informazione. (...) La stampa ne diede notizia a suo tempo, ma recentemente è uscito un volume (Il filo interrotto. Le difficili relazioni fra il Vaticano e la stampa internazionale, a cura di Giovanni Maria Vian, Milano, Mondadori, 2012), che raccoglie le relazioni svolte in quell'occasione.
Il tema, oltre che di grande attualità, è di grande importanza per se stesso, anche perché la missione della Chiesa è di natura sua una comunicazione, l'annuncio di una buona notizia. Per questo il rapporto anche con i comunicatori, diciamo così, laici, che spesso amplificano e diffondono il messaggio che proviene dalla Chiesa, lo confrontano con altri messaggi, ad esempio della cultura moderna o di altre religioni, è molto importante. Una sana e corretta collaborazione, che non esclude una franca dialettica, è perciò quanto mai auspicabile. E la Chiesa non può non essere esperta in comunicazione, così come lo è in umanità, come affermò Paolo VI all'Onu nel 1965.
Giovanni Maria Vian, direttore dell'«Osservatore Romano», presentando gli Atti, ricorda che l'argomento venne già affrontato nel 1994 dal cardinale Avery Dulles, statunitense, che iniziò un suo articolo raccontando una storiella esemplare, non si sa se del tutto autentica. Un vescovo europeo, arrivato negli Stati Uniti, si sente chiedere provocatoriamente, da un giornalista che lo intervista, se intende visitare dei night club. Il vescovo cerca di cavarsela con l'ironia e risponde: «Ma qui ce ne sono?». Il giorno seguente il prelato si ritrova sul giornale sotto il titolo, ineccepibile dal punto di vista formale: «La prima domanda del vescovo: ci sono night club a New York?».
Ma, aggiungiamo noi, anche la nota intervista di Paolo VI ad Alberto Cavallari, che apparve sul «Corriere della Sera» del 3 ottobre 1965, non fu esente da problemi. Sembra che il giornalista abbia pubblicato la registrazione, per altro di buon livello e molto apprezzata, di un suo lungo colloquio con Paolo VI, ma senza una vera e propria autorizzazione. La sua richiesta al Vaticano di eventuali correzioni al testo rimase senza risposta. Se fossero arrivate, l'intervista sarebbe diventata ufficiale. Se il testo fosse stato smentito, il giornalista avrebbe potuto far valere la registrazione in suo possesso.
Negli ultimi pontificati il problema è cambiato, in quanto Giovanni Paolo II e Benedetto XVI usano parlare liberamente, a braccio, con i giornalisti, ad esempio in aereo durante i viaggi verso i Paesi più disparati del globo. Con i due ultimi Pontefici il sistema pare avere sostanzialmente funzionato, nonostante i rischi di ogni dichiarazione fatta al momento, in quanto si è instaurato un reciproco rapporto di fiducia e di correttezza, del quale i giornalisti non hanno abusato, se non in qualche rara occasione, come nel viaggio di Benedetto XVI in Camerun e Angola, dove una frase sull'uso del preservativo sembrava aver esaurito per buona parte della stampa tutto il significato del viaggio.
Gli ultimi Papi hanno poi ripetutamente utilizzato il genere letterario del libro-intervista, per parlare agli uomini e alle donne del nostro tempo in forma più colloquiale e meno solenne di un discorso o di un documento magisteriale.
È con Giovanni XXIII e con il concilio Vaticano II che si è creato un boom informativo e mediatico della Santa Sede, con la figura dei «vaticanisti» come inviati speciali di una o più testate per occuparsi specificamente delle notizie vaticane. Per la prima volta il concilio venne fatto conoscere al mondo non soltanto da fonti vaticane o religiose.
Nel clima di vivace interesse e di entusiasmo di quegli anni il meccanismo funzionò bene sino a rabbuiarsi «nella seconda metà di quel decennio, traumaticamente segnato nel 1968 dalla bufera levatasi contro l'enciclica Humanae vitae e contro Papa Montini» (Vian, p. 6).
Sono i decenni successivi che fanno parlare di «filo interrotto» (da cui il titolo del libro), anche se certo non sempre né da parte di tutti. Oggi, nota Vian, sembra esserci meno volontà di capire rispetto agli anni del concilio, e ci si diffonde piuttosto su scandali e comportamenti illeciti.
A quanto i relatori hanno detto si potrebbero aggiungere alcune altre notazioni, non certo nuove, ma che non sempre vengono adeguatamente applicate al mondo dell'informazione, anche quando si occupa della Chiesa e del Vaticano.
Anzitutto, come gli economisti dicevano che «la moneta cattiva caccia quella buona», si potrebbe dire che la cattiva notizia caccia quella buona, nel senso che ha risonanza assai maggiore, e attira sempre l'attenzione più di quella buona, che da sola «non fa vendere».
Questo vale per ogni evento umano, non esclusi quelli che riguardano il mondo cattolico e la Chiesa.
Il pubblico inoltre ama la spettacolarità, cosa ben nota a ogni giornalista. (...) Perciò, se è possibile presentare un fatto in termini di contrapposizione, di liti fra i vari protagonisti del caso e, si potrebbe aggiungere, di complotti, di poteri oscuri che si combattono, è molto più probabile che l'interesse e la curiosità dei lettori aumentino.
Naturalmente questo non vale soltanto per la Chiesa. Vale per lo sport (allenatore contro giocatori, giocatori in lite fra loro), per la politica (risse perenni tra partiti, esponenti dello stesso partito in conflitto con altri compagni di partito, politici che minacciano o effettuano scissioni, che pongono il veto a iniziative annunciate da altri colleghi), per lo spettacolo e via dicendo.
La Chiesa non fa eccezione. Se si possono contrapporre tra loro dichiarazioni contrastanti di vescovi o di esponenti cattolici, un certo successo è assicurato, spesso senza assicurarsi di verificare l'autorevolezza dell'intervistato o chi egli rappresenta. Talvolta rappresenta soltanto se stesso. Infine la personalizzazione dell'evento per cui un personaggio viene identificato con una determinata presa di posizione, o viene trasformato in protagonista di un avvenimento che ha in realtà componenti ben complesse, che non si lasciano semplificare.
Divulgare è sempre approssimare, e non solo nel campo religioso, ma è una cosa che vale anche per la scienza, l'economia o la medicina, quando una redazione se ne occupa. L'approssimazione può nascere dall'impreparazione, o dalla fretta, imperante nel campo dell'informazione. «Questo limite pesante, però, può stimolare per contrasto una virtù nell'ecclesiastico o nell'istituzione ecclesiale, spingendoli a favorire la trasparenza, a non rifugiarsi nella pura e semplice critica, a offrire una documentazione fruibile, a essere più simpatetici col mondo dell'informazione, adottando un dialogo reale sostanziato di contenuti chiari, a non trincerarsi dietro il formalismo del comunicato ufficiale che talora è come l'oracolo di Delfi, dice e non dice, ma solo ammicca, favorendo così l'imprecisione dell'interprete» (Ravasi, p. 40).
Tutto questo solamente per indicare alcune tentazioni o modalità di azioni proprie della comunicazione di massa moderna, senza con questo generalizzare a nostra volta. Accanto a seri professionisti della comunicazione, che assolvono il loro compito con competenza e indubbio valore, rendendo un vero e indispensabile servizio all'intera società, ce ne sono anche altri che brandiscono la notizia come una clava senza badare se colpiscono anche innocenti. Anche quando parlano della Chiesa o del Vaticano.


(©L'Osservatore Romano 22 luglio 2012)


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