"Erik Peterson - La presenza teologica di un outsider", a cura di Giancarlo Caronello, Libreria Editrice Vaticana 2012
Un outsider della teologia
Stefan Hartmann
Nell’ottobre 2010, in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del teologo e convertito amburghese Erik Peterson (1890-1960), si è tenuta a Roma, al Pontificio Collegio Teutonico di Santa Maria in Campo Santo e all’Istituto Patristico Augustinianum, una conferenza internazionale incentrata sul tema: «La presenza teologica di un outsider», che ha visto la partecipazione di nomi importanti e il cui momento culminante è stato l’udienza con il Pontefice.
Gli atti del convegno, con i documenti che coprono un vasto ventaglio tematico — già nel 2000 si era tenuto a Magonza un primo simposio su Peterson, dedicato al tema: «Della fine dei tempi» — sono ora stati pubblicati, a cura dell’organizzatore Giancarlo Caronello con una prefazione di Christoph Markschies.
Dopo il lavoro di Barbara Nichtweiß del 1992 (Neue Sicht auf Leben und Werk, ii edizione, 1994), e la collana Ausgewählte Schriften (Echter Verlag, 1994 ss.) da lei pubblicata in seguito, che con i suoi dodici volumi sta quasi per concludersi, Peterson può ormai abbandonare lo status di «suggerimento segreto», essendo sempre più riconosciuto come «un nume protettore della buona teologia e del coraggio umano nel pensiero» (con le parole di Hans Urs von Balthasar in una lettera del 1955). Diventato noto grazie alla sua tesi di laurea intitolata Heis Theos (1920) discussa a Gottinga (ripubblicata di recente), lo studioso, che si dedicava in particolare all’esegesi, alla patrologia e alla storia della religione e che nel 1924 venne chiamato a Bonn, intratteneva un fitto scambio di idee con Adolf von Harnack, Theodor Haecker e Carl Schmitt.
Improntato al pietismo a motivo delle sue origini, per lui Kierkegaard fu più importante di Lutero; e senza temere l’immagine di bohémien, spesso appariva come un impressionistia. Karl Bath, che assistette alla conferenza di Peterson su Tommaso e che, prima della conversione alla fede cattolica a Roma nel 1930 (preparata anche attraverso la lettura di Newman), lo vedeva in una «posizione di outsider nello stile di Overbeck», malgrado tutti i contrasti, ricevette proprio da lui lo spunto per definire la sua grande dogmatica una «dogmatica ecclesiale». Ma anche in seguito, a Roma, come cattolico docente nel Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana (e ben presto anche come padre di famiglia), Peterson si collocava «su tutte le sedie», e il gesuita Erich Przywara, altrettanto acuto, notava la mancanza dell’«odore di stalla cattolico». Con sensibilità questo aspetto viene ricordato anche nel volume relativo al congresso, attraverso il discorso di Papa Benedetto xvi, laddove dice che «egli ha vissuto questo essere straniero del cristiano. Era divenuto straniero nella teologia evangelica ed è rimasto straniero anche nella teologia cattolica, come era allora» (Discorso ai partecipanti al simposio internazionale su Erik Peterson, 25 ottobre 2010). Come nessun altro però, il solitario Peterson ha potuto, e tuttora può, risvegliare l’amore per la teologia e per la storia in coloro che cercano di seguire il suo pensiero, cosa di cui i trenta documenti del convegno, ora pubblicati, sono una ulteriore testimonianza.
(©L'Osservatore Romano 2 agosto 2012)
Erik Peterson. Esegeta dell'eccezione (Thomas Söding)
Ecumenismo a due passi dal Papa. In libreria "Erik Peterson - La presenza teologica di un outsider"
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